Come spesso accade sono in pieno accordo alla riflessione di Massimo Gramellini suglie eventi di ieri, comprese le reazioni!
FONTE LA STAMPA
Un paranoide condannato per bancarotta fraudolenta compie una strage a
palazzo di Giustizia, ammazzando tra gli altri anche un giudice, e
immancabilmente salta su qualcuno a denunciare il clima ostile creatosi
intorno alla magistratura. Come se ad armare la mano omicida fosse stata
la polemica politica sulla responsabilità civile e le ferie dei
giudici. Come se quel magistrato fosse stato ucciso in quanto simbolo
dell’indipendenza delle toghe e non in quanto bersaglio di una resa dei
conti maturata nella testa di un uomo ossessivamente ripiegato sui
fattacci suoi. (A cui nessuno aveva pensato di togliere il porto d’armi
dopo la condanna: è questo, oltre alle difese colabrodo del tribunale,
il vero mistero e il vero scandalo).
Poiché la lista dei morti è completata da un avvocato e da un socio
dell’assassino, se ne deve forse dedurre che anche le categorie degli
avvocati e dei soci avrebbero diritto di lamentare un atteggiamento
persecutorio nei loro confronti? Gherardo Colombo ha sicuramente parlato
sotto l’impulso del dolore personale: quel giudice era un ex collega e
un amico. E prima di svalutare il lavoro dei magistrati bisogna sempre
ricordarsi, come ha fatto Mattarella, che operano in prima linea sulla
carne viva del Paese. Ma certe manipolazioni emotive della realtà
alimentano il mostro nazionale del vittimismo. Mentre Colombo commentava
un fatto di cronaca nera per sottolineare il disagio della
magistratura, altri trasformavano il truffatore omicida in un prodotto
della crisi economica. E così si perdeva di vista che a uccidere e a
morire non erano stati dei simboli, ma degli esseri umani.
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