A 14 anni ero già troppo grande per non capire ma ancora troppo piccolo per comprendere appieno quello che ci stava capitando attorno.
Ricordo quel sabato maledetto per tanti motivi, sentendo ancora quel senso di eccitazione misto a paura, tipico di chi, nel pieno dell'adolescenza, si trova davanti un mondo stravolto, un pericolo a cui il tuo corpo sa rispondere solo con una scarica di adrenalina.
Quel sabato sancì l'ultimo viaggio sul treno che da qualche mese ci portava a scuola a Bra, quello che ci faceva sentire fortunati per la comodità e la sicurezza che offriva, quello che per i successivi quattro anni ci condannò a levatacce all'alba e a percorsi estenuanti ogni santo giorno.
Quell'ultimo viaggio di ritorno fu lentissimo, anche se ammetto che la differenza tra percezione e ricordo è piuttosto sottile. Quello di cui sono certo è la quantità d'acqua che la ferrovia attraversava e che noi osservavamo con eccitazione passando da un finestrino all'altro.
Ricordo un senso di fastidio nel ritardo accumulato (dovevo consegnare la formazione del fantacalcio... beata leggerezza..), affiancato da un crescente sentimento di inquietudine per quelle scene mai viste prima, per le facce di quei passeggeri che affidavano ai loro occhi le uniche informazioni su quanto stava succedendo, completamente sprovvisti di quella finestra sul mondo che oggi i cellulari e interntet offrono.
Ricordo il pomeriggio piovoso e la telefonata di mio padre "prendi la telecamera che passa Paolo a prenderti, vuole filmare il Tanaro e tutta l'acqua che c'è in giro!".
Così nel giro di qualche minuto ci ritrovammo in macchina per le campagne Fariglianesi talmente cariche d'acqua che sembravano trasudarla.
Salimmo in collina ad immortalare il panorama sovrannaturale che si scorgeva dal Corsaletto, il mare d'acqua che si stendeva sotto l'Albarosa di Piozzo, i tronchi che l'acqua trasportava sotto i ponti come fossero rametti, a cercare quella che sarebbe stata l'ultima immagine del Navetto intatto, praticamente già irraggiungibile nel pomeriggio.
A 14 anni, come dicevo, avevo capito che la situazione era grave ma quello che comprendevo con maggior chiarezza era che quello era un sabato e che cascasse il mondo quella sera si usciva con gli amici.
I nostri programmi non cambiarono e ci trovammo come di rito a scegliere una casa che ci ospitasse per visionare l'ennesimo horror che settimanalmente arrivava in edicola e che a turno si comprava con devozione.
Ignoro quanto peso avesse avuto il maltempo sulle serate delle persone, ma le strade erano affollate, anche se meno del solito, e quando uscii in Piazza sembrava tutto nella norma, come sempre.
Purtroppo per i nostri piani i continui black-out elettrici ci costrinsero a rinunciare al film e visto che di tornare a casa non se parla proprio, a quell'età, nelle sere "in concessione genitoriale" tornammo in Piazza, che per Farigliano era ed è ancora il più importante (e unico) punto di ritrovo.
Ricordo l'affollamento dei bar e una strana atmosfera per essere una notte di novembre, troppa gente al di fuori dei locali e uno strano via vai verso il fiume, gruppi di persone che si dirigevano a piedi verso l'ingresso del paese, facilitati da una sinistra carenza di traffico.
Spinti dalla curiosità e felici di avere un'alternativa al girovagare senza una meta, ci mettemmo in cammino seguendo chi ci precedeva, immersi in un silenzio da processione che passo dopo passo veniva divorato un rumore ancor più inquietante, una sorta di boato... la voce del Tanaro.
A questo punto i ricordi sbiadiscono e mi resta solo qualche fotogramma senza una sequenza temporale, senza una corretta linea logica.
Ricordo i Carabinieri che illuminavano il ponte e l'acqua che lo scavalcava, ricordo le luci delle Calciniera e quelle della Cantonata al di la del mostro, ricordo le facce terrorizzate e le mille domante che serpeggiavano tra i presenti.
La cognizione di quello che stava accadendo era ostacolata dal buio, svelata a tratti dalle luci dei fari e delle torce, il disastro si intuiva, si sentiva ed era impressionante.
Non so per quanto rimanemmo li, ma quanto tornai a casa il senso di inquietudine era palpabile, tanto da non riuscire a prendere sonno, con il pensiero al mattino dopo, appuntamento alle 8, telecamera alla mano per vedere cos'era successo.
Quanto vedemmo la domenica mattina non lo dimenticherò mai, come tutti d'altronde, ma come dicevo è la visione di un ragazzo di 14 anni che conservo nei miei ricordi e nei filmati che riuscii a girare.
Dei giorni successivi ricordo il dolore e la solidarietà di una popolazione che non si è mai arresa, che si è rimboccata le maniche senza pretendere l'aiuto di nessuno, incapace di piangersi addosso perchè non se concedeva il tempo: bisognava rialzarsi.
L'ultimo pensiero riguarda una canzone che mi gira in testa da quando ho iniziato a scrivere, non so se l'ascoltai quel giorno, di certo era un successo di quegli anni, ma quando penso al novembre del 94 rispunta assieme ai ricordi e li accompagna con quel suo sapore di speranza.
1 commento:
bellissimo pezzo Fabio!
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