Boggie è una cantante ungherese che ha vissuto un successo internazionale grazie a questo video, diventato virale nel gennaio scorso.
Nel video, mentre lei canta, si vedono una serie di ritocchi digitali atti a trasformare la sua prima immagine acqua e sapone, in una figura decisamente più appariscente!
Spazio aperto per tutti! Un luogo dove condividere notizie, consigli, recensioni, pensieri, progetti e musica! Il Concerto per un Amico attivo tutto l'anno! Vuoi diventare autore del blog? contattaci!
sabato 29 novembre 2014
martedì 25 novembre 2014
Fireworks
La diffusione dei Droni e delle telecamere compatte in HD (tipo le goPro per intenderci) hanno cambiato il mondo della ripresa.
Tra le tante nuove imprese che stanno invadendo il web, una tra le più riuscite è quella della ripresa aerea dei fuochi d'artificio.
Ecco un emozionante esempio di cosa si vede restando in mezzo ai fuochi!
Tra le tante nuove imprese che stanno invadendo il web, una tra le più riuscite è quella della ripresa aerea dei fuochi d'artificio.
Ecco un emozionante esempio di cosa si vede restando in mezzo ai fuochi!
sabato 22 novembre 2014
mercoledì 19 novembre 2014
Era tutto ok..
Lo spunto nasce dalla collaborazione tra i Fractures e Matthew Chuang, un regista Ucraino che ha girato queste immagini in una famosa città nel distretto di Kiev: Chernobyl.
Le riprese risalgono allo scorso febbraio, nel periodo delle rivolte tra separatisti e filorussi, approfittando di un periodo di pausa tra gli scontri nella capitale.
Chernobyl resta la più grande cicatrice nucleare sul territorio europeo, emblema del disastroso rapporto tra la tecnologia e gli errori umani, una città oggi quasi deserta che paga la vicinanza alla centrale con il suo oblio.
Delle 350000 persone che ci vivevano prima dell'aprile del 1986, oggi rimangono solo gli oggetti e le case abbandonate in fretta e furia nelle 36 ore successive al disastro, qualche militare o addetto al controllo della centrale (rimasta parzialmente attiva fino al 2000) e quasi 700 anziani ritornati negli anni alle proprie case, incuranti dei rischi che col tempo si spartiscono il loro futuro.
I Fractures hanno immaginato il ritorno di uno di loro in quella che un tempo chiamava casa, oggi segnata dall'abbandono che ne restituisce un fascino malinconico e alieno ma che nonostante tutto custodisce ancora i tanti ricordi che il disastro ha strappato agli abitanti.
Queste immagini hanno in sottofondo il nuovo singolo della band: It's Alright.
Le riprese risalgono allo scorso febbraio, nel periodo delle rivolte tra separatisti e filorussi, approfittando di un periodo di pausa tra gli scontri nella capitale.
Chernobyl resta la più grande cicatrice nucleare sul territorio europeo, emblema del disastroso rapporto tra la tecnologia e gli errori umani, una città oggi quasi deserta che paga la vicinanza alla centrale con il suo oblio.
Delle 350000 persone che ci vivevano prima dell'aprile del 1986, oggi rimangono solo gli oggetti e le case abbandonate in fretta e furia nelle 36 ore successive al disastro, qualche militare o addetto al controllo della centrale (rimasta parzialmente attiva fino al 2000) e quasi 700 anziani ritornati negli anni alle proprie case, incuranti dei rischi che col tempo si spartiscono il loro futuro.
I Fractures hanno immaginato il ritorno di uno di loro in quella che un tempo chiamava casa, oggi segnata dall'abbandono che ne restituisce un fascino malinconico e alieno ma che nonostante tutto custodisce ancora i tanti ricordi che il disastro ha strappato agli abitanti.
Queste immagini hanno in sottofondo il nuovo singolo della band: It's Alright.
sabato 15 novembre 2014
True.. HBO
La HBO stà vivendo un periodo molto florido, merito di ottime intuizioni e dello spopolare delle serie tv.
Questa emittente Americana conta ben 32 milioni di abbonati ed esporta i suoi prodotti in oltre 150 Paesi (fonte Wikipedia).
In continuo aggiornamento, ambiziosa e coraggiosa ha contribuito alla rivoluzione della tv, producendo alcune delle serie televisive più affascinanti controverse, dimostrando che spesso investire nelle nicchie porta più frutti di una scelta trasversale, sbiadita nei contenuti e politicamente corretta.
Famosa per le sue scelte graffianti, le immagini esplicite e le immancabili scene di sesso, la HBO è proprietaria di alcuni dei casi più clamorosi del nuovo panorama televisivo.
Tra le scelte più azzeccate e coraggiose posso solo sparare nel mucchio: Game of Thrones, Boardwalk Empire, The Pacific, True Blood, Entourage, Six Feet Under, I Soprano, Sex and the City...
I nomi e le cifre che girano attorno a queste si commentano da soli e spesso hanno aperto dei varchi nel settore, poi seguiti ed imitati in tutto il mondo.
Attori di prim'ordine, registi mitologici e produzione che farebbero impallidire Hollywood sono alcuni degli ingredienti di questi successi.
Il resto lo fa la cura per il dettaglio, l'abilità degli sceneggiatori evidentemente liberi di potersi muovere su ogni terreno senza particolari rischi di censure o limitazioni.
Tra gli ultimi arrivati in casa HBO c'è il meraviglioso True Detective, ennesima serie dalle tinte gialle che ritorna al passato, abbandonando gli sfarzi tecnologici di CSI e creando un nuovo modo di raccontare le cose.
Non commetterò atti di spoileraggio, ma tra le tante cose che rendono questa serie una vera perla (piuttosto angosciante) c'è sicuramente la scelta musicale che l'accompagna.
Ad aprire le danze, dalla sigla iniziale, la meravigliosa Far From Any Road dei The Handsome Family, talmente calzante da farne una custodia perfetta.
Questa emittente Americana conta ben 32 milioni di abbonati ed esporta i suoi prodotti in oltre 150 Paesi (fonte Wikipedia).
In continuo aggiornamento, ambiziosa e coraggiosa ha contribuito alla rivoluzione della tv, producendo alcune delle serie televisive più affascinanti controverse, dimostrando che spesso investire nelle nicchie porta più frutti di una scelta trasversale, sbiadita nei contenuti e politicamente corretta.
Famosa per le sue scelte graffianti, le immagini esplicite e le immancabili scene di sesso, la HBO è proprietaria di alcuni dei casi più clamorosi del nuovo panorama televisivo.
Tra le scelte più azzeccate e coraggiose posso solo sparare nel mucchio: Game of Thrones, Boardwalk Empire, The Pacific, True Blood, Entourage, Six Feet Under, I Soprano, Sex and the City...
I nomi e le cifre che girano attorno a queste si commentano da soli e spesso hanno aperto dei varchi nel settore, poi seguiti ed imitati in tutto il mondo.
Attori di prim'ordine, registi mitologici e produzione che farebbero impallidire Hollywood sono alcuni degli ingredienti di questi successi.
Il resto lo fa la cura per il dettaglio, l'abilità degli sceneggiatori evidentemente liberi di potersi muovere su ogni terreno senza particolari rischi di censure o limitazioni.
Tra gli ultimi arrivati in casa HBO c'è il meraviglioso True Detective, ennesima serie dalle tinte gialle che ritorna al passato, abbandonando gli sfarzi tecnologici di CSI e creando un nuovo modo di raccontare le cose.
Non commetterò atti di spoileraggio, ma tra le tante cose che rendono questa serie una vera perla (piuttosto angosciante) c'è sicuramente la scelta musicale che l'accompagna.
Ad aprire le danze, dalla sigla iniziale, la meravigliosa Far From Any Road dei The Handsome Family, talmente calzante da farne una custodia perfetta.
mercoledì 12 novembre 2014
Las Pozas
Esiste un paradiso in terra, progettato a misura del suo creatore che ha dedicato oltre quarant'anni della sua vita a renderlo reale, anzi surreale.
Edward James è stato un poeta mecenate inglese, ricco collezionista d'arte con la passione per il surrealismo, in ogni sua forma.
Alla fine degli anni '30 affrontò un viaggio in Messico, nella Foresta delle pozze, splendida e selvaggia località nei pressi di Xilitla. Folgorato dalla bellezza di questo posto, James decise di realizzare nella giungla messicana un progetto quantomai ambizioso, che lo portò per i successivi 30 anni, a finanziare la costruzione di opere bizzarre e poetiche, che non deturpassero l'ambiente ma lo rendessero surreale.
Capita così di imbattersi in strane strutture in cemento che ospitano fiori e piante, scalinate che non portano da nessuna parte, torri inaccessibili e ponti sul nulla.
Dopo la scomparsa del poeta, negli anni 80, il sito venne lasciato a se stesso, causa le troppe spese di manutenzione, lasciando che la giungla inghiottisse le opere disseminate nelle sue viscere.
Questo era anche stato previsto da James, la cui cura nelle costruzioni, prevedeva una comunione tra il mondo da lui creato e quello eterno della foresta.
Nel 2007 però, vennero stanziati fondi per il recupero delle opere, restituendo ai visitatori quel mondo incredibile che è diventato parte di Las Pozas, contribuendo così alla sua bellezza.
Nel 2008 la band australiana Empire of the Sun, scelsero questo luogo magico come set del loro video per la canzone We Are The People, omaggiando non solo Las Pozas ma anche il rito messicano per il Día de los Muertos.
Edward James è stato un poeta mecenate inglese, ricco collezionista d'arte con la passione per il surrealismo, in ogni sua forma.
Alla fine degli anni '30 affrontò un viaggio in Messico, nella Foresta delle pozze, splendida e selvaggia località nei pressi di Xilitla. Folgorato dalla bellezza di questo posto, James decise di realizzare nella giungla messicana un progetto quantomai ambizioso, che lo portò per i successivi 30 anni, a finanziare la costruzione di opere bizzarre e poetiche, che non deturpassero l'ambiente ma lo rendessero surreale.
Capita così di imbattersi in strane strutture in cemento che ospitano fiori e piante, scalinate che non portano da nessuna parte, torri inaccessibili e ponti sul nulla.
Dopo la scomparsa del poeta, negli anni 80, il sito venne lasciato a se stesso, causa le troppe spese di manutenzione, lasciando che la giungla inghiottisse le opere disseminate nelle sue viscere.
Questo era anche stato previsto da James, la cui cura nelle costruzioni, prevedeva una comunione tra il mondo da lui creato e quello eterno della foresta.
Nel 2007 però, vennero stanziati fondi per il recupero delle opere, restituendo ai visitatori quel mondo incredibile che è diventato parte di Las Pozas, contribuendo così alla sua bellezza.
Nel 2008 la band australiana Empire of the Sun, scelsero questo luogo magico come set del loro video per la canzone We Are The People, omaggiando non solo Las Pozas ma anche il rito messicano per il Día de los Muertos.
domenica 9 novembre 2014
La caduta del muro
Cade oggi il 25esimo anniversario dalla storica caduta del muro di Berlino, fatto che cambiò il mondo, dagli equilibri internazionali fin alla popolazione che nel giro di pochi metri era costretta a vivere in due società profondamente differenti.
Per celebrare questo giorno ho deciso di pubblicare questo sintetico ma essenziale video sulla storia del muro, accompagnato da un brano estratto dalla celebre esibizione di Roger Waters svoltasi pochi mesi dopo la caduta del muro.
Il concerto fu memorabile, trasmesso in tutto il mondo, con la partecipazione di tutti coloro che accettarono l'invito dell'ex bassista dei Pink Floyd, in questo caso accompagnato da Cyndi Lauper nella canzone The Wall... un caso? Non credo proprio! (cit.)
Per celebrare questo giorno ho deciso di pubblicare questo sintetico ma essenziale video sulla storia del muro, accompagnato da un brano estratto dalla celebre esibizione di Roger Waters svoltasi pochi mesi dopo la caduta del muro.
Il concerto fu memorabile, trasmesso in tutto il mondo, con la partecipazione di tutti coloro che accettarono l'invito dell'ex bassista dei Pink Floyd, in questo caso accompagnato da Cyndi Lauper nella canzone The Wall... un caso? Non credo proprio! (cit.)
giovedì 6 novembre 2014
Vent'anni fa..
A 14 anni ero già troppo grande per non capire ma ancora troppo piccolo per comprendere appieno quello che ci stava capitando attorno.
Ricordo quel sabato maledetto per tanti motivi, sentendo ancora quel senso di eccitazione misto a paura, tipico di chi, nel pieno dell'adolescenza, si trova davanti un mondo stravolto, un pericolo a cui il tuo corpo sa rispondere solo con una scarica di adrenalina.
Quel sabato sancì l'ultimo viaggio sul treno che da qualche mese ci portava a scuola a Bra, quello che ci faceva sentire fortunati per la comodità e la sicurezza che offriva, quello che per i successivi quattro anni ci condannò a levatacce all'alba e a percorsi estenuanti ogni santo giorno.
Quell'ultimo viaggio di ritorno fu lentissimo, anche se ammetto che la differenza tra percezione e ricordo è piuttosto sottile. Quello di cui sono certo è la quantità d'acqua che la ferrovia attraversava e che noi osservavamo con eccitazione passando da un finestrino all'altro.
Ricordo un senso di fastidio nel ritardo accumulato (dovevo consegnare la formazione del fantacalcio... beata leggerezza..), affiancato da un crescente sentimento di inquietudine per quelle scene mai viste prima, per le facce di quei passeggeri che affidavano ai loro occhi le uniche informazioni su quanto stava succedendo, completamente sprovvisti di quella finestra sul mondo che oggi i cellulari e interntet offrono.
Ricordo il pomeriggio piovoso e la telefonata di mio padre "prendi la telecamera che passa Paolo a prenderti, vuole filmare il Tanaro e tutta l'acqua che c'è in giro!".
Così nel giro di qualche minuto ci ritrovammo in macchina per le campagne Fariglianesi talmente cariche d'acqua che sembravano trasudarla.
Salimmo in collina ad immortalare il panorama sovrannaturale che si scorgeva dal Corsaletto, il mare d'acqua che si stendeva sotto l'Albarosa di Piozzo, i tronchi che l'acqua trasportava sotto i ponti come fossero rametti, a cercare quella che sarebbe stata l'ultima immagine del Navetto intatto, praticamente già irraggiungibile nel pomeriggio.
A 14 anni, come dicevo, avevo capito che la situazione era grave ma quello che comprendevo con maggior chiarezza era che quello era un sabato e che cascasse il mondo quella sera si usciva con gli amici.
I nostri programmi non cambiarono e ci trovammo come di rito a scegliere una casa che ci ospitasse per visionare l'ennesimo horror che settimanalmente arrivava in edicola e che a turno si comprava con devozione.
Ignoro quanto peso avesse avuto il maltempo sulle serate delle persone, ma le strade erano affollate, anche se meno del solito, e quando uscii in Piazza sembrava tutto nella norma, come sempre.
Purtroppo per i nostri piani i continui black-out elettrici ci costrinsero a rinunciare al film e visto che di tornare a casa non se parla proprio, a quell'età, nelle sere "in concessione genitoriale" tornammo in Piazza, che per Farigliano era ed è ancora il più importante (e unico) punto di ritrovo.
Ricordo l'affollamento dei bar e una strana atmosfera per essere una notte di novembre, troppa gente al di fuori dei locali e uno strano via vai verso il fiume, gruppi di persone che si dirigevano a piedi verso l'ingresso del paese, facilitati da una sinistra carenza di traffico.
Spinti dalla curiosità e felici di avere un'alternativa al girovagare senza una meta, ci mettemmo in cammino seguendo chi ci precedeva, immersi in un silenzio da processione che passo dopo passo veniva divorato un rumore ancor più inquietante, una sorta di boato... la voce del Tanaro.
A questo punto i ricordi sbiadiscono e mi resta solo qualche fotogramma senza una sequenza temporale, senza una corretta linea logica.
Ricordo i Carabinieri che illuminavano il ponte e l'acqua che lo scavalcava, ricordo le luci delle Calciniera e quelle della Cantonata al di la del mostro, ricordo le facce terrorizzate e le mille domante che serpeggiavano tra i presenti.
La cognizione di quello che stava accadendo era ostacolata dal buio, svelata a tratti dalle luci dei fari e delle torce, il disastro si intuiva, si sentiva ed era impressionante.
Non so per quanto rimanemmo li, ma quanto tornai a casa il senso di inquietudine era palpabile, tanto da non riuscire a prendere sonno, con il pensiero al mattino dopo, appuntamento alle 8, telecamera alla mano per vedere cos'era successo.
Quanto vedemmo la domenica mattina non lo dimenticherò mai, come tutti d'altronde, ma come dicevo è la visione di un ragazzo di 14 anni che conservo nei miei ricordi e nei filmati che riuscii a girare.
Dei giorni successivi ricordo il dolore e la solidarietà di una popolazione che non si è mai arresa, che si è rimboccata le maniche senza pretendere l'aiuto di nessuno, incapace di piangersi addosso perchè non se concedeva il tempo: bisognava rialzarsi.
L'ultimo pensiero riguarda una canzone che mi gira in testa da quando ho iniziato a scrivere, non so se l'ascoltai quel giorno, di certo era un successo di quegli anni, ma quando penso al novembre del 94 rispunta assieme ai ricordi e li accompagna con quel suo sapore di speranza.
Ricordo quel sabato maledetto per tanti motivi, sentendo ancora quel senso di eccitazione misto a paura, tipico di chi, nel pieno dell'adolescenza, si trova davanti un mondo stravolto, un pericolo a cui il tuo corpo sa rispondere solo con una scarica di adrenalina.
Quel sabato sancì l'ultimo viaggio sul treno che da qualche mese ci portava a scuola a Bra, quello che ci faceva sentire fortunati per la comodità e la sicurezza che offriva, quello che per i successivi quattro anni ci condannò a levatacce all'alba e a percorsi estenuanti ogni santo giorno.
Quell'ultimo viaggio di ritorno fu lentissimo, anche se ammetto che la differenza tra percezione e ricordo è piuttosto sottile. Quello di cui sono certo è la quantità d'acqua che la ferrovia attraversava e che noi osservavamo con eccitazione passando da un finestrino all'altro.
Ricordo un senso di fastidio nel ritardo accumulato (dovevo consegnare la formazione del fantacalcio... beata leggerezza..), affiancato da un crescente sentimento di inquietudine per quelle scene mai viste prima, per le facce di quei passeggeri che affidavano ai loro occhi le uniche informazioni su quanto stava succedendo, completamente sprovvisti di quella finestra sul mondo che oggi i cellulari e interntet offrono.
Ricordo il pomeriggio piovoso e la telefonata di mio padre "prendi la telecamera che passa Paolo a prenderti, vuole filmare il Tanaro e tutta l'acqua che c'è in giro!".
Così nel giro di qualche minuto ci ritrovammo in macchina per le campagne Fariglianesi talmente cariche d'acqua che sembravano trasudarla.
Salimmo in collina ad immortalare il panorama sovrannaturale che si scorgeva dal Corsaletto, il mare d'acqua che si stendeva sotto l'Albarosa di Piozzo, i tronchi che l'acqua trasportava sotto i ponti come fossero rametti, a cercare quella che sarebbe stata l'ultima immagine del Navetto intatto, praticamente già irraggiungibile nel pomeriggio.
A 14 anni, come dicevo, avevo capito che la situazione era grave ma quello che comprendevo con maggior chiarezza era che quello era un sabato e che cascasse il mondo quella sera si usciva con gli amici.
I nostri programmi non cambiarono e ci trovammo come di rito a scegliere una casa che ci ospitasse per visionare l'ennesimo horror che settimanalmente arrivava in edicola e che a turno si comprava con devozione.
Ignoro quanto peso avesse avuto il maltempo sulle serate delle persone, ma le strade erano affollate, anche se meno del solito, e quando uscii in Piazza sembrava tutto nella norma, come sempre.
Purtroppo per i nostri piani i continui black-out elettrici ci costrinsero a rinunciare al film e visto che di tornare a casa non se parla proprio, a quell'età, nelle sere "in concessione genitoriale" tornammo in Piazza, che per Farigliano era ed è ancora il più importante (e unico) punto di ritrovo.
Ricordo l'affollamento dei bar e una strana atmosfera per essere una notte di novembre, troppa gente al di fuori dei locali e uno strano via vai verso il fiume, gruppi di persone che si dirigevano a piedi verso l'ingresso del paese, facilitati da una sinistra carenza di traffico.
Spinti dalla curiosità e felici di avere un'alternativa al girovagare senza una meta, ci mettemmo in cammino seguendo chi ci precedeva, immersi in un silenzio da processione che passo dopo passo veniva divorato un rumore ancor più inquietante, una sorta di boato... la voce del Tanaro.
A questo punto i ricordi sbiadiscono e mi resta solo qualche fotogramma senza una sequenza temporale, senza una corretta linea logica.
Ricordo i Carabinieri che illuminavano il ponte e l'acqua che lo scavalcava, ricordo le luci delle Calciniera e quelle della Cantonata al di la del mostro, ricordo le facce terrorizzate e le mille domante che serpeggiavano tra i presenti.
La cognizione di quello che stava accadendo era ostacolata dal buio, svelata a tratti dalle luci dei fari e delle torce, il disastro si intuiva, si sentiva ed era impressionante.
Non so per quanto rimanemmo li, ma quanto tornai a casa il senso di inquietudine era palpabile, tanto da non riuscire a prendere sonno, con il pensiero al mattino dopo, appuntamento alle 8, telecamera alla mano per vedere cos'era successo.
Quanto vedemmo la domenica mattina non lo dimenticherò mai, come tutti d'altronde, ma come dicevo è la visione di un ragazzo di 14 anni che conservo nei miei ricordi e nei filmati che riuscii a girare.
Dei giorni successivi ricordo il dolore e la solidarietà di una popolazione che non si è mai arresa, che si è rimboccata le maniche senza pretendere l'aiuto di nessuno, incapace di piangersi addosso perchè non se concedeva il tempo: bisognava rialzarsi.
L'ultimo pensiero riguarda una canzone che mi gira in testa da quando ho iniziato a scrivere, non so se l'ascoltai quel giorno, di certo era un successo di quegli anni, ma quando penso al novembre del 94 rispunta assieme ai ricordi e li accompagna con quel suo sapore di speranza.
martedì 4 novembre 2014
Cari giudici...
Cari giudici ammetto la mia colpevolezza, ammetto le mie colpe e ammetto il mio disaccordo, non tanto verse le vostre scelte ma verso le vostre figure.
Cari giudici non tenterò di difendere la mia idea di fronte alle vostre sentenze, ne prendo atto anche se ammetto di non avere alcun rispetto per il modo in cui i vostri giudizi vengono rigettati.
Cari giudici, non vorrei però che cadeste in errore, fraintendedo il mio atto di confessione.
Innanzitutto non mi rivolgo a voi Giudici di Tribunali, Corti o Cassazione, a voi non posso rimproverare nulla se non alcune leggerezze nelle dichiarazioni o la volontà di difendere alcuni privilegi a cui vi aggrappate avidamente. Non posso farlo perché non ne ho le capacità, dovrei minare il mio credo nella Giustizia e nei meccanismi che la nostra Costituzione prevede per difendere la vostra indipendenza e il vostro sacrosanto valore nella nostra società.
Cari Giudici dalla "G" maiuscola, per il poco che lo studio del Diritto mi ha lasciato in affido ho infinito rispetto nel vostro lavoro, comprendo la difficoltà dei vostri percorsi all'interno delle selvagge lande della legislatura Italiana, spesso affiancati da avvocati il cui scopo e indirizzarvi verso la loro causa, sfruttando ogni debolezza e lacuna che il nostro diritto offre, facendo giustamente (o forse no?) l'interesse del proprio assistito.
Non sono un ipocrita e non mi scandalizzo delle vostre retribuzioni, provando solo ad immaginare quanto sia pesante per la propria coscienza trovarsi a decidere del futuro di una persona, vincolati al rispetto di normative a volte troppo asfissianti e a volte troppo lascive.
Capisco il vostro senso di soffocamento nel ritrovarsi spesso schiacciati tra il rispetto del diritto e le pressioni dell'opinione pubblica, accetto le vostre conflittualità, rispetto le vostre conoscenze e ammiro la devozione dei vostri studi. Quando non condivido le vostre decisioni ho sempre cercato di comprenderle, scoprendo la maggior parte delle volte che si trattava di decisioni legittime, nel pieno rispetto o obbligo della legge, questa si a volte opinabile.
Cari Giudici non mi rivolgo a voi, le cui contraddizioni e debolezze fanno parte di un sistema senza il quale varrebbe la legge del più forte e regnerebbe un'anarchia cara solo a chi persegue una visione troppo utopica del mondo. Cari Giudici su di voi investiamo la fiducia di una società che se tradita subirebbe da voi il più grande e vile dei torti, perché a voi spetta il compito più importante: far rispettare le regole che tutelano la nostra vita.
Mi rivolgo invece a voi giudici dalla "g" minuscola, a voi dichiaro la mia colpevolezza!
Cari giudici, dunque, un tempo relegati alle piazze e ai bar, armati dei vostri giornali quasi sempre di parte o almeno simpatizzanti dalle vostre opinioni, forti della vostra saccenza e della povertà intellettuale altrui, a voi ammetto le mie responsabilità.
Cari giudici, oggi imbonitori da social network, che dall'alto dei vostri trespoli virtuali vi arrogate il diritto di esprimere giudizi come fossero verità... perdonatemi.
Scusate la mia scarsa opinione di voi, della vostra capacità di giudizio avvalorata frequentemente da un'immagine e da un grumo di parole che la incorniciano, in un link condiviso in tutta fretta, a cui affidate buona parte della vostra informazione, non per pigrizia, ma perché vedete superfluo cercare un opinione diversa o mettere in discussione il vostro sito o credo preferito.
Mi scuso per non riuscire a condividere la vostra smania di esaltarvi di fronte alle notizie che colpiscono i vostri nemici o che esaltano i vostri pensieri, inveendo invece su quelle contrarie, tacciando i loro autori di complottismo e ricorrendo all'insulto come forma di contestazione.
Cari giudici, la cui opinione è sempre verità, accetto gli insulti che affibbiate a chi non la pensa come voi, a chi mette in dubbio la vostra morale talmente coerente da sembrare una farsa, non mi lamento nel vedere quanto vorreste le vostre idee imposte su chi è in disaccordo, avvicinando il vostro modo di fare, pregno di intransigenza, arroganza e presunzione, ai nemici che più combattete, estremisti quanto voi.
Cari giudici mi affido alla vostra mancanza di clemenza, certo di un giudizio severo ed obbligato, magari appoggiato da chi la pensa come voi oppure osteggiato con lo stesso impeto da chi è giudice quanto voi ma dalla parte opposta.
Vi chiederei di tentare di essere più obiettivi, di provare a non bollare un'opinione diversa come merda ma anzi, a cercare di capirne la logica, per aprire il vostro pensiero e magari scoprirvi più tolleranti e saggi.
Certo il rischio di cadere in contraddizione è evidente ed è tangibile quello di potersi sbagliare e doversi addirittura scusare, magari rivedendo le proprie aspirazioni fino a minare i propri ideali.
Questa sensazione potrebbe farvi sentire deboli, spesso in accordo con personaggi dal dubbio profilo, ma capireste anche che condividere un pensiero non significa nulla di più del suo senso stretto.
Potreste ritrovarvi ad apprezzare altri aspetti di questa vita, magari sentendovi più liberi di quanto lo crediate oggi, aggrappati ai vostri pensieri da difendere a tutti i costi, prigionieri delle vostre maschere che vi impongono un solo punto di vista, incatenati alle voci che scegliete di ascoltare.
Questo vi rende nervosi e perennemente in allerta nel difendervi dal pensiero altrui, convinti che anche per gli altri valga lo stesso, confinati in un mondo di battaglie ideologiche su ci vi ergete come portatori di verità assolute.
Cari giudici, ecco perché mi costituisco, perché per me questo non vale, perché lo trovo stupido e nell'ammetterlo di fronte al vostro delirio di onnipotenza non posso far altro che dichiararmi colpevole.
Cari giudici non tenterò di difendere la mia idea di fronte alle vostre sentenze, ne prendo atto anche se ammetto di non avere alcun rispetto per il modo in cui i vostri giudizi vengono rigettati.
Cari giudici, non vorrei però che cadeste in errore, fraintendedo il mio atto di confessione.
Innanzitutto non mi rivolgo a voi Giudici di Tribunali, Corti o Cassazione, a voi non posso rimproverare nulla se non alcune leggerezze nelle dichiarazioni o la volontà di difendere alcuni privilegi a cui vi aggrappate avidamente. Non posso farlo perché non ne ho le capacità, dovrei minare il mio credo nella Giustizia e nei meccanismi che la nostra Costituzione prevede per difendere la vostra indipendenza e il vostro sacrosanto valore nella nostra società.
Cari Giudici dalla "G" maiuscola, per il poco che lo studio del Diritto mi ha lasciato in affido ho infinito rispetto nel vostro lavoro, comprendo la difficoltà dei vostri percorsi all'interno delle selvagge lande della legislatura Italiana, spesso affiancati da avvocati il cui scopo e indirizzarvi verso la loro causa, sfruttando ogni debolezza e lacuna che il nostro diritto offre, facendo giustamente (o forse no?) l'interesse del proprio assistito.
Non sono un ipocrita e non mi scandalizzo delle vostre retribuzioni, provando solo ad immaginare quanto sia pesante per la propria coscienza trovarsi a decidere del futuro di una persona, vincolati al rispetto di normative a volte troppo asfissianti e a volte troppo lascive.
Capisco il vostro senso di soffocamento nel ritrovarsi spesso schiacciati tra il rispetto del diritto e le pressioni dell'opinione pubblica, accetto le vostre conflittualità, rispetto le vostre conoscenze e ammiro la devozione dei vostri studi. Quando non condivido le vostre decisioni ho sempre cercato di comprenderle, scoprendo la maggior parte delle volte che si trattava di decisioni legittime, nel pieno rispetto o obbligo della legge, questa si a volte opinabile.
Cari Giudici non mi rivolgo a voi, le cui contraddizioni e debolezze fanno parte di un sistema senza il quale varrebbe la legge del più forte e regnerebbe un'anarchia cara solo a chi persegue una visione troppo utopica del mondo. Cari Giudici su di voi investiamo la fiducia di una società che se tradita subirebbe da voi il più grande e vile dei torti, perché a voi spetta il compito più importante: far rispettare le regole che tutelano la nostra vita.
Mi rivolgo invece a voi giudici dalla "g" minuscola, a voi dichiaro la mia colpevolezza!
Cari giudici, dunque, un tempo relegati alle piazze e ai bar, armati dei vostri giornali quasi sempre di parte o almeno simpatizzanti dalle vostre opinioni, forti della vostra saccenza e della povertà intellettuale altrui, a voi ammetto le mie responsabilità.
Cari giudici, oggi imbonitori da social network, che dall'alto dei vostri trespoli virtuali vi arrogate il diritto di esprimere giudizi come fossero verità... perdonatemi.
Scusate la mia scarsa opinione di voi, della vostra capacità di giudizio avvalorata frequentemente da un'immagine e da un grumo di parole che la incorniciano, in un link condiviso in tutta fretta, a cui affidate buona parte della vostra informazione, non per pigrizia, ma perché vedete superfluo cercare un opinione diversa o mettere in discussione il vostro sito o credo preferito.
Mi scuso per non riuscire a condividere la vostra smania di esaltarvi di fronte alle notizie che colpiscono i vostri nemici o che esaltano i vostri pensieri, inveendo invece su quelle contrarie, tacciando i loro autori di complottismo e ricorrendo all'insulto come forma di contestazione.
Cari giudici, la cui opinione è sempre verità, accetto gli insulti che affibbiate a chi non la pensa come voi, a chi mette in dubbio la vostra morale talmente coerente da sembrare una farsa, non mi lamento nel vedere quanto vorreste le vostre idee imposte su chi è in disaccordo, avvicinando il vostro modo di fare, pregno di intransigenza, arroganza e presunzione, ai nemici che più combattete, estremisti quanto voi.
Cari giudici mi affido alla vostra mancanza di clemenza, certo di un giudizio severo ed obbligato, magari appoggiato da chi la pensa come voi oppure osteggiato con lo stesso impeto da chi è giudice quanto voi ma dalla parte opposta.
Vi chiederei di tentare di essere più obiettivi, di provare a non bollare un'opinione diversa come merda ma anzi, a cercare di capirne la logica, per aprire il vostro pensiero e magari scoprirvi più tolleranti e saggi.
Certo il rischio di cadere in contraddizione è evidente ed è tangibile quello di potersi sbagliare e doversi addirittura scusare, magari rivedendo le proprie aspirazioni fino a minare i propri ideali.
Questa sensazione potrebbe farvi sentire deboli, spesso in accordo con personaggi dal dubbio profilo, ma capireste anche che condividere un pensiero non significa nulla di più del suo senso stretto.
Potreste ritrovarvi ad apprezzare altri aspetti di questa vita, magari sentendovi più liberi di quanto lo crediate oggi, aggrappati ai vostri pensieri da difendere a tutti i costi, prigionieri delle vostre maschere che vi impongono un solo punto di vista, incatenati alle voci che scegliete di ascoltare.
Questo vi rende nervosi e perennemente in allerta nel difendervi dal pensiero altrui, convinti che anche per gli altri valga lo stesso, confinati in un mondo di battaglie ideologiche su ci vi ergete come portatori di verità assolute.
Cari giudici, ecco perché mi costituisco, perché per me questo non vale, perché lo trovo stupido e nell'ammetterlo di fronte al vostro delirio di onnipotenza non posso far altro che dichiararmi colpevole.
domenica 2 novembre 2014
Smile
Si chiama Smile ed è stato pubblicato nei mesi scorsi.
Si tratta di uno dei brani contenuti nel disco Eros, mai pubblicato dai Deftones, ultimato quando il bassista Chi Cheng ebbe l'incidente che lo portò alla morte e abbandonato in un limbo fatto di grande dolore e rispetto per il musicista.
Dopo quasi un anno dalla scomparsa di Cheng, gli stessi Deftones tornano a parlare di questo disco sospeso, diffondendo questo pezzo, ci si augura, come preludio della pubblicazione.
Si tratta di uno dei brani contenuti nel disco Eros, mai pubblicato dai Deftones, ultimato quando il bassista Chi Cheng ebbe l'incidente che lo portò alla morte e abbandonato in un limbo fatto di grande dolore e rispetto per il musicista.
Dopo quasi un anno dalla scomparsa di Cheng, gli stessi Deftones tornano a parlare di questo disco sospeso, diffondendo questo pezzo, ci si augura, come preludio della pubblicazione.
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