lunedì 6 febbraio 2012

E' il mondo che amiamo?

E se il mondo che amiamo non fosse quello ci si attendeva?
Se in tutti questi anni avessimo sbagliato strada, anche grazie al consiglio di chi ci ha guidato male?
Se alla fine il grande sogno che hanno vissuto i nostri genitori, quelli che sono passati da una TV ogni 6 famiglie a 3 TV in ogni casa, quelli che hanno avuto genitori che hanno patito la fame e hanno figli che necessitano di diete, che hanno potuto fare i soldi quando i soldi valevano qualcosa, che hanno visto il progresso e ora un po' lo soffrono, quelli che hanno visto davvero la differenza tra la crescita e la crisi... insomma,  se questo sogno non fosse così fedele alla nostra realtà?
Se davvero avessero avuto ragione i nostri nonni che vedevano nella terra, concreta, fertile e faticosa, l'unica ricchezza e che con tanta diffidenza credevano ai lavori "intellettuali", alle contraddizioni del consumismo che strideva con i loro stili sobri e parsimoniosi?
La verità stà nel mezzo, il progresso ci ha salvati, arricchiti, istruiti ed agevolati, ma l'aver perso di vista la cruda realtà ci ha portata ad una deriva pericolosa da cui è faticoso rientrare.
Ci hanno insegnato che sostituire è meglio di riparare, che la confezione è più importante del prodotto, che la teoria è più importante della pratica e che l'apparire è più importante dell'essere. E per un certo periodo questo è stato vero, anche se non per tutti.
Un'oggetto che non si ripara è più fragile ma meno costoso, un vantaggio per chi lo costruisce, potrà vendere di più, abbassare i costi di produzione e meccanizzare gli impianti, standardizzando le catene e liberandosi del costoso, lento e problematico lavoro manuale. Felice l'azienda e felice l'acquirente, conquistato dal risparmio immediato che però, probabilmente, verrà cancellato al primo intoppo funzionale.
E che dire della confezione? Per secoli i contenitori sono stati preziosi per l'uomo, dalle anfore ai bauli, dalle pentole ai secchi, trasformati di colpo in spazzatura, involucri  usa e getta per contenuti spesso dal valore inferiore. Pensiamo alle lattine, le bottiglie di plastica, le buste e i sacchetti, le confezioni per i medicinali (che poi buttiamo praticamente intatti perché scaduti: quando impareremo a stare male per tutta la durata del blister!), insomma, imballaggi sproporzionati per il loro compito!
Se poi ci aggiungiamo che questi prodotti attraversano il mondo per soddisfare il nostro BISOGNO di mangiare verdure fuori stagione, bere acqua che arriva da sorgenti lontane, reperire alimenti che un tempo si trovavano in ogni famiglia, ogni orto e in ogni stalla, mentre oggi devono percorrere migliaia di km per arrivare sulle nostre tavole... Dopotutto perchè stupirsi? Oggi sappiamo che la teoria è più importante della pratica: a chi importa se un azienda ha buoni serivizi, ottime idee e capacità quando quello che conta è che riesca a sopravvivare sui mercati, magari speculando in borsa! E' comunque degna di rispetto, anzi, si osanna chi la guida, almeno fino a quando non fallisce miseramente al primo cedimento finanziario, o ci si accorge di aver investito in settori inutili, a costi esorbitanti, abbandonando i concetti base del buon senso, fondamentalmente per incompetenza e distrazione.
Ma se ho le carte in regola oggi a chi importa delle mie capacità? Se sono elegante a chi importa se posso mantenermi? Se parlo bene a chi importa se non credo in ciò che dico?
Invece adesso tutto questo sembra vacilliare.
Oggi scopriamo che se si fermano i camionisti manca tutto, mentre i nostri prati sono pieni di prodotti che devono essere lavorati a centinaia di km per poter essere utilizzati.
Ci accorgiamo che siamo dipendenti dal superfluo, che senza benzina siamo paralizzati ed è tragicamente vero.
Ci accorgiamo che siamo pieni di brillanti giovani laureati, ma che sempre più spesso non servono a nessuno, perché da un lato manca chi ha il potere per investirci sopra e dall'altra sono saturi i posti a loro competenti. Diventa al contrario sempre più difficile trovare un artigiano capace e competente, un bracciante che non lo faccia per necessità e a cui venga riconosciuta la giusta dignità, una politica sociale che sappia nuovamente rilanciare il lavoro professionale e di competenza, per anni abbandonato e sottovaltuato, ma che oggi offre gli unici sbocchi sul mercato del lavoro.
Emergono le ipocrisie dei mercati viziati, in cui, per esempio, le cooperative competono con i privati avendo presupposti e agevolazioni diverse, diventando quindi vere e proprie aziende.
Crolla l'illusione dei contributi, sistema fallito che ha portato il devasto delle piccole realtà a favore dei grandi gruppi. Questi spesso e volentieri sono indotti a produrre più ottenere il contributo che non per tutelare la tradizione o il territorio, colossi che nascono, uccidono il piccolo produttore stravolgendo il mercato dei prezzi, per poi andarsene quando il gioco non vale più la candela.
Solo a Farigliano hanno chiuso negli ultimi 30 anni più di 20 negozio, decine di piccoli allevamenti, non so quante cascine e attività famigliari capaci di mantenere più nuclei con una sola attività, la cui concorrenza era stabilita da qualità e capacità, i cui prodotti erano garantiti da chi te li vendeva e spesso li produceva, riparava e sostituiva.
Certo questo andava a discapito della scelta e a volte magari del prezzo, ma siamo sicuri che oggi fare da 10 a 50 km per poter scegliere tra 6 tipi diversi di acqua e risparmiare qualche euro sul detersivo (per poi ritrovaselo sulla merendina che spesso nemmeno ci serviva) sia stata un'evoluzione?
Insomma, se le cose non funzionano forse dovremmo chiederci se noi stessi facciamo parte del guasto.
Forse bisognerebbe


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