A volte capita che una canzone arrivi così diretta che fa subito centro nel tuo animo. Sembra scritta per te, a causa di un verso, del testo, di serie di note che ti appartengono o di un’atmosfera ti descrive meglio di quanto possa farlo tu.
Nel 1970 il grandissimo David Bowie pubblica il suo terzo album, il più Rock, con tematiche già proiettate a quel mondo un po’ visionario e fantascientifico che lo accompagnerà per i prossimi anni. In questo disco, l’ottava traccia, riporta il nome dell’album “The man who sold the world”, un’opera meravigliosa che io conobbi con vent’anni di ritardo.
La cosa affascinante (almeno per me) è che questo brano lo conobbi non nella sua versione originale, bensì risuonato unplugged dai Nirvana durante lo storico ed indimenticabile concerto MTV Unplugged in New York.
Da allora ne ho scoperte molte versioni, (notevole anche l’elegante arrangiamento della nordica Lulu) ma solo più avanti ho imparato ad apprezzare l’originale.
Le versioni sembrano simili ma sono due facce della stessa medaglia, due modi di vivere un stato d’animo che la canzone impone. Almeno personalmente.
Bowie rende “The man who sold the world” estremamente visionaria, affascinante e toccante. Il Duca Bianco “racconta” il testo, sa essere magnetico e sul finale trasforma questo viaggio in un toccante vocalizzo malinconico e carico di consapevolezza, che regale un ulteriore significato alla canzone.
Credo che sia una versione più matura, che conquista più lentamente ma che sa raggiungere una profondità intima e viscerale.
I Nirvana invece arrivano come un treno, diretti e struggenti, trasformando il brano nello scrigno del malessere di Kurt Cobain, che da li a pochi mesi si sarebbe tolto la vita. La stessa canzone cambia colore, si adatta allo stile Grunge, perde la parte visionaria e si carica di malinconia e rassegnazione, il tempo è rallentato e l’incastro nato tra la voce roca e disperata di Cobain e la scala di note che accompagna i ritornelli, evidenzia i toni assurdi che rendono straordinaria questa versione.
Kurt Cobain riscrive il finale eliminando i vocalizzi di Bowie e sostituendoli con un assolo che completa il nuovo vestito realizzato dalla band, un abito cupo e malconcio, trasandato e introspettivo come vuole la cultura Grunge. Il viaggio visionario di Bowie viene così sostituito da un percorso intimo e personale, ennesimo miracolo che la musica ci regala.
Oggi è l’anniversario della scomparsa di Kurt Cobain (5 aprile 94), icona di un mondo che si guardava dentro e autore di alcuni pilastri della mia adolescenza. A 15 anni dalla sua morte lo ricordo così, attraverso a quello che credo essere una dimostrazione del suo modo di interpretare e scrivere, un modo di essere, lontano dall’apparire, una condizione di vita e non del non saper vivere.
L’uomo che vendette il mondo
Passammo per le scale, parlammo del passato
sebbene io non fossi lì, lui disse che ero suo amico
questo per me fu una sorpresa, lo guardai negli occhi e gli dissi:
pensavo fossi morto solo, tanto tempo fa
oh no, non io
non abbiamo mai perso il controllo
sei faccia a faccia
con l'uomo che vendette il mondo
risi e gli strinsi la mano, e feci ritorno verso casa
cercai per terre e mari
ho vagato per anni e anni
il mio sguardo divenne fisso, verso il milione di persone qui
abbiamo camminato per un milione di anni
devo esser morto solo
tanto tempo fa
chi lo sa? io no
non abbiamo mai perso il controllo
sei faccia a faccia
con l'uomo che vendette il mondo (x2)
1 commento:
personalmente non la conoscevo ma direi che è intensa,bei pensieri,spero che facciano riflettere anche altre persone .ciao ciao
Posta un commento